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Andrea Giostra recensisce il libro di Stefania Lo Piparo “Quando l’amore diventa follia”

giovedì 21 Settembre 2017

Sicilia, Bagheria, Aspra, Chiesa di Maria SS. Addolorata, Renato Guttuso, Ignazio Buttitta, sole, mare, colori, profumi … insomma, come sempre nella nostra isola, “scontate” e dirompenti bellezze siciliane. E qui inizia la narrazione … «Era un pomeriggio qualunque, uno dei soliti eterni pomeriggi estivi, tipici di quando si è giovani e il tempo sembra non passare mai. La data però la ricordo benissimo perché quel giorno per la prima volta Giano entrò nella mia vita. Era il 17 giugno dell’anno 1994».

È con queste semplici parole che inizia il racconto/confessione di Stefania Lo Piparo. Un incipit che, se non fosse per l’inopportuna “Introduzione”, spoiler insopportabile per chi ama la lettura e vuole scoprire tra le righe il fascino irresistibile delle narrazioni come avveniva con le nostre nonne che certamente non anticipavano quelli che sarebbero stati i loro cunti magici, creerebbe nel lettore delle aspettative interessanti ambientate in una terra assolata e bellissima dove un amore sta per sbocciare.

Il romanzo, per la tragica e interessante storia vera narrata, ha più un’azione catartica per chi scrive che un messaggio letterario per chi legge. E le parole della scrittrice non danno scampo nel delineare altra cornice: «Vi racconterò la mia storia, una storia sfociata in un dramma familiare, che ha ispirato i più grandi rancori, le più viscerali ripicche e il più venefico degli odi. Un terremoto di accuse che ha trovato la sua fase finale nella morte di mio marito, Giano. Cercherò di raccontare con la massima onestà la nostra tristissima storia, dal primo incontro di noi due giovani ragazzi fino all’ultimo istante della mia vita vissuta con lui.» … «Voglio interpretarlo come un segno di coraggio e mi riprometto, più modestamente, di abbattere le menzogne che mi vedono accusata di omicidio e con l’incubo di scontare una pena di sedici anni di carcere per un crimine che non ho commesso. non ho ucciso mio marito».

Leggere queste crude parole di pubblica confessione della Lo Piparo, forse supplica all’ascolto, certamente creano una poderosa inquietudine in chi sperimenta nella narrazione quell’empatia che ci rende esseri umani sensibili alle avversità altrui. Non c’è alcun dubbio che il coraggio di chi racconta di sé le vicende drammatiche della propria vita è da rispettare, da inchinarsi, da ammirare, da lasciare sbalorditi. Un coraggio che spesso nasconde fragilità, paure, sofferenza viscerale, terrore di un precipizio che si immagina prossimo all’accadere, timore di perdere quello per il quale si è da sempre vissuto e lottato, che giorno dopo giorno si è costruito sperando in un futuro luminoso.

Proprio per questo il rispetto dev’essere silenzioso e privo di qualsiasi stolto pregiudizio difensivo di chi teme il contagio intellettuale di azioni accadute e da condannate, al di là delle responsabilità e delle dinamiche che li hanno innescate. Il romanzo è certamente interessante e da diverse prospettive: narrative, culturali, sociali, giurisprudenziali, affettive, relazionali. Per chi ama la lettura come viaggio mentale dentro mondi nuovi, sconosciuti e altrimenti inaccessibile, la lettura di “Quando l’Amore Diventa Follia” rappresenta un frutto prelibato, anche se poi lascia un fortissimo retrogusto d’amaro siciliano.

Nella realtà letteraria contemporanee dell’usa-e-getta per soddisfare bisogni ludici più che intellettuali, un’opera come quella della Lo Piparo non trova grandi spazi di partecipazione: la sofferenza altrui è sempre qualcosa da tenere lontana e da rinnegare se la si dovesse incontrare. Sono i nostri tempi, quelli del ventunesimo secolo, quelli costruiti nei settant’anni post-bellici. I tempi della cultura della superficialità e del presunto benessere commerciale, più che quello della vita vissuta e condivisa nel dolore e nella sofferenza da gestire e partecipare con anime sensibili e con persone disposte ad alleviare le sofferenze dei propri simili.
Ma questa è un’altra storia.

E questo è certamente il motivo per il quale un bel romanzo/confessione non troverà, ahinoi, proseliti di lettori che vorranno immergersi in acque agitate colorate di una spuma bianca della quale si vuole evitare di conoscerne la provenienza.

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