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Masturbarsi davanti al ginecologo. Pratica vittoriana o attuale?

lunedì 20 Agosto 2018

In media, a tutti si drizzerebbero i capelli che si hanno in testa, se venisse fuori che un medico, approfittando del suo ruolo e della sua posizione, augusta rispetto alla paziente, arrivi a chiederle di farlo assistere a una pratica di ipsazione, dunque, autoerotica. Nessuno di noi potrebbe condonarne l’ipsa richiesta, anche se apportasse, come motivazioni, “solo” quelle inerenti ai fini prefissati: di ordine sessuale (per elicitare la relazione intima con il marito); di ordine prolifico e, quindi, onde predisporre il corpo alla gravidanza.

E’ giusto informare i non addetti ai lavori o gli ingenui che tale pratica autoerotica è davvero stata utilizzata dai guaritori vittoriani come dispositivo medico per curare l’isteria. Per accettarne l’uso, occorre fare un salto nel tempo, fino al 1880, e un viaggio di 2.835,8 km, per approdare nell’Inghilterra dell’epoca vittoriana. Occorre sottolineare che l’allora in voga Bon Ton non consentiva ai signori medici di vilipendere la “purezza” delle dame inglesi, che erano considerate “donne angelo” ovvero come esseri puri e puliti. La privacy delle pazienti, dunque,veniva protetta da tende o altre precauzioni.

Noi siamo nel 2018 e, fervet opus, l’approccio di medici e psicologi al paziente ha subito notevoli cambiamenti. Erano gli anni di Freud, Breuer, Charcot, i pionieri della Psicoanalisi. Se si esclude che tale metodo sia elitario o adatto ai tempi, non è per tabù o visioni mistico-religiose-puritane, ma per due ordini di ragioni: prima fra tutte, una simile richiesta paleserebbe un’evidente ineducazione e l’assoluta o discutibile mancanza di deontologia professionale, da parte del medico, che, per altro, coperto dal riserbo professionale, direi, “lembo bianco”, indurrebbe la paziente a provare imbarazzo, vergogna (e non solo in una donna sposata) nei confronti del coniuge e, quindi, a nascondergli l’ipsazione.

Non fatevi ingannare da scrabble linguistici come: “Se fossimo stati a Stoccolma, sarebbe lecito chiederglielo già alla prima seduta!”. Lecito cosa? Chiedere di mostrare come ci si masturba, cosa si prova e le espressioni facciali collegate al raggiungimento del piacere sessuale autoindotto? Senza esitazioni e indugi, quindi, ovviamente, senza preliminari e frequenza. Perché, invece, dopo un’assidua frequenza diverrebbe un buon costume. Sempre con l’intento benevolo di contribuire al diffondersi di una corretta informazione, occorre anche sottolineare che non è del tutto ammissibile che un ginecologo si comporti o si atteggi da sessuologo psicoterapeuta, senza averne i titoli, e che erotizzi con le pazienti, facendo trapelare o palesando dei disturbi sessuali, come da nomenclatura psicopatologica e psicoanalitica.

La pratica suddetta che portava le pazienti al cosiddetto stato di “parossismo isterico”, arrivò a essere utilizzata dai medici per circa un secolo. Le attuali conoscenze circa le conseguenze e gli effetti collaterali dell’erotizzazione o dello sconfinamento da un rapporto professionale a uno “intimo”, hanno spinto i medici ad abbandonare tale strumento e a lasciare, eventualmente, compiti a casa ai pazienti, grazie alla diffusione dei sex toys nei negozi specializzati. Nel rispetto, dunque, di una dimensione sacra e intima e, come tale, riguardante i pensieri e i sentimenti più personali e difficilmente condivisibili. Non fomentiamo la cultura del “sesso libero e senza limiti”. Il sesso è anche comunicazione, è interazione, è uno scambio e un dispositivo, non medico, ma relazionale.

 

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